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intrigo di fili2

Esistono esperienze genitoriali che, purtroppo, a causa di difficoltà vissute, non riescono ad essere adeguate nel proteggere, curare, mantenere, educare e istruire i figli.

Nella maggior parte dei casi non si possono attribuire responsabilità dirette: queste persone sono infatti spesso figli, a loro volta, di genitori fragili e incapaci, di bisogni non visti e di mancanze mai colmate.

In una società civile e moderna, è quindi lo Stato a prendersi cura di queste situazioni, sostenendo le famiglie d’origine con lo strumento dell’affido, per il tempo ritenuto necessario.
È infatti una forma di solidarietà tra persone e famiglie, gestita e garantita da istituzioni (Servizi sociali e Tribunali) che la orientano, accompagnano e regolano secondo quanto definito da normative e direttive specifiche.

Questa solidarietà, però, è stata profondamente colpita, ferita e offuscata dal caso “Bibbiano”. In un attimo tutto è diventato oscuro, incomprensibile, confuso e disorientante.

A sei anni e dodici giorni dall’inizio dell’inchiesta, arriva la sentenza:
nessuna sottrazione indebita di minori,
nessun affido illecito,
nessun “lupo”,
nessuna “strega” di Bibbiano.

Chi ha conosciuto i fatti e le persone coinvolte non ha mai creduto alla loro colpevolezza: erano e sono professionisti e professioniste che lavoravano e lavorano per il bene e la giustizia dei bambini che si trovavano in condizioni di grande fragilità.

Ma ora, cosa resta?

Restano vite infangate, distrutte.
Se la totalità degli italiani conosce “il caso Bibbiano”, quanti sono a conoscenza, da oggi, della sentenza di assoluzione? Di certo non tutti quelli che a suo tempo furono investiti da quello “Tsunami mediatico”. Perché fa più rumore una notizia, anche se falsa, di un crimine contro dei bambini che non un’assoluzione per un errore giudiziario. Notizie, immagini e slogan incancellabili sono stati diffusi in maniera mirata per colpire le parti più emotive ed istintive di ognuno di noi, per raggiungere “la pancia” di ciascuno.
Il lupo e la strega continueranno a vivere nell’immaginario collettivo, pur non essendo mai esistiti.

E allora, cosa resta dopo sei anni di energie spese, soldi pubblici investiti, lacrime versate da famiglie e operatori ingiustamente accusati?

  • Resta un Tribunale per i Minori che si è nascosto.
  • Resta la sfiducia in un sistema di welfare indebitamente screditato.
  • Resta una parte della politica che ha usato bambini e famiglie come bandiere da sventolare.
  • Resta il sospetto di incompetenza se non addiritttura cattiveria del Servizio Sociale.
  • Resta la diffidenza verso chi ancora crede nell’affido come strumento di sostegno reciproco tra famiglie.

Ma soprattutto…

Resta la tristezza e l’ingiustizia per tutti quei bambini che continuano a vivere l’inferno dell’incuria, della violenza, dell’abuso quotidiano in famiglie che non riconoscono la propria fragilità.
A quei bambini e bambine questa storia ha tappato la bocca, chiuso la porta di casa e buttato via la chiave.

Davvero solo questo è ciò che resta?

In maniera forse impercettibile, si sono create oasi di consapevolezza e di nuove storie narrabili.
Sono storie fatte da persone e operatori che hanno conosciuto le contraddizioni di questo tempo e di questo mondo, dove — in troppi casi — i bambini e le bambine non sono difesi e protetti, non visti nei loro bisogni primari, né riconosciuti con rispetto e cura.

Forse si sono create vicinanze con chi è stato messo al centro e giudicato, quando ancora tutto era da verificare, comprendere, dimostrare.

Forse, in qualcuno, si è risvegliato il desiderio di conoscere, di capire meglio, di incontrare, di sapere.

Tra le cose che restano, forse, vi è anche la perplessità verso la deontologia professionale di parte dei media per i toni e le modalità di costruzione e diffusione delle notizie.

Forse... forse... forse...

Dopo sei anni e dodici giorni, forse si può ripartire da qui:.
meno scoraggiati e più consapevoli,
meno forti e strutturati, ma più attenti e sensibili, sapendo che è dalla cura dei più piccoli che si misura il livello di civiltà di ogni contesto umano e sociale.

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