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auguri 25

Uno degli aggettivi che meglio crediamo identifichi il nostro essere comunità è: famiglia di famiglie.
Fin dalle origini, che oramai sono ultraventennali, abbiamo sempre considerato la famiglia non come l’oggetto delle nostre attività, programmi o progetti, ma come il soggetto da cui tutto doveva trarre origine. Ciò significava e significa, che per ogni idea o proposta, si dovesse assumere un punto di vista non adultocentrico, o come si usa dire oggi, inclusivo.

Inclusivo di chi? In primis dei piccoli, allora erano i figli. Figli di pancia, figli accolti, per tempi a volte brevi o senza una scadenza.
Fare le cose con loro, più che per loro, ci ha insegnato a pensare e vedere in modo differente.
Ci ha educato ad essere sempre attenti a chi fa più fatica, a chi rimane indietro, a chi non ce la fa.
Assumere questa visione ci è di aiuto e conforto quando vediamo, ormai da tempo, che piccoli oggi lo sono diventati i nostri genitori, quando la malattia o semplicemente l’età li ha resi più fragili o bisognosi della nostra cura.

E, come accade in ogni famiglia, abbiamo fatto l’esperienza della perdita. Se per i nonni Franca, Franco, Maria, Lucia e Fedora questo dolore, pur presente, è stato mitigato dalla loro lunga vita, la morte di Vittorio è stato ed è un mistero al quale faticosamente cerchiamo di dare un senso. Nonostante i pensieri siano confusi, le parole dei balbettii incomprensibili, i sentimenti contrastanti. Ma anche in questo dolore, Davide e Vittorio ci stanno aiutando: trasformando un’assenza in una presenza viva, non per un rifiuto della realtà, ma per un legame, se possibile, ancora più forte di prima. Ci stanno portando lentamente a comprendere il significato della resurrezione.

L’anno che si sta chiudendo ha visto la nostra comunità continuare il percorso di discernimento spirituale dove stiamo provando a leggere cosa alberga nel nostro cuore e quale relazione di figliolanza caratterizza il nostro rapporto con il Signore e di conseguenza quale relazione di fraternità instauriamo con gli altri

Anche i temi scelti per il nostro tradizionale campo estivo si inserivano in questo percorso di discernimento, spostando l’ottica per provare a scoprire cosa alberga nelle viscere della società e della nostra città: aiutarci a vedere “i segni dei tempi alla luce del Vangelo” (GS 4).
Se l’obiettivo generale è la felicità dell’uomo, di ciascun uomo e donna, occorre imparare a riconoscere gli ostacoli, le radici dei mali che impediscono questo fine e che si traducono nelle diverse forme che assume l’ingiustizia. Nelle nostre città mentre ci sono luoghi di felicità ve ne sono altri di sofferenza e caso mai entrambi co-presenti nello stesso luogo e ciò complica il discernimento.
E così abbiamo scelto di riflettere su tre temi: la bellezza, il decoro urbano e il diritto alla casa.

Viviamo un periodo storico, che probabilmente solo pochi anni fa non avremmo immaginato.
Parole come: genocidio, pulizia etnica, minaccia nucleare, eravamo convinti facessero parte di una storia ancorché recente, comunque passata. Probabilmente perché il nostro punto di osservazione è un luogo che credevamo, sicuro, caldo e protetto.
E questa è forse già una nostra responsabilità. Non esserci adeguatamente informati, non aver ascoltato a sufficienza il pianto o il grido di chi era dall’altra parte. Di chi la violenza e l’ingiustizia la vivono nel quotidiano. Avere forse evitato, come comunità, di affrontare temi che percepivamo potenzialmente divisivi, e che per il timore di conflitti che potessero nascere abbiamo preferito lasciar cadere. A questo peccato di omissione cerchiamo di riparare quest’anno attraverso l’approfondimento della lettera pastorale del nostro Vescovo “Cristo nostra pace disarmata e disarmante”. Convinti che come scriveva Papa Francesco: “La pace è artigianale. Non la costruiscono solo i potenti con le loro scelte e i loro trattati internazionali, che restano scelte politiche quanto mai importanti e urgenti. La pace la costruiamo anche noi, nelle nostre case, in famiglia, tra vicini di casa, nei luoghi dove lavoriamo, nei quartieri dove abitiamo.”

Desideriamo poi condividere con voi un bellissimo progetto che ha visto protagonisti quei bambini di cui parlavamo all’inizio. Ora, diventate e diventati grandi, hanno rivisitato questo modo di essere e fare famiglia confrontandosi tra loro, con l’obiettivo di promuovere la cultura dell’accoglienza e valorizzare l’importanza dell’affido. Ha visto così la luce “L’albero dell’accoglienza” attraverso tre albi illustrati raccontano vissuti, sentimenti ed emozioni condivisi nelle loro vite grazie a concrete storie di accoglienza.

Terminiamo con alcuni ringraziamenti non dovuti, ma voluti e sinceri.
Grazie a don Carlo per la su vicinanza concreta e propositiva.
Alla comunità delle suore di Santa Clelia che tutti i martedì ci ospitano per la nostra messa e cena settimanale.
A don Giuliano Gazzetti per il cammino di discernimento spirituale.
A don Erio, il nostro Vescovo, per le parole e la testimonianza che ci dona negli incontri avuti con lui.

Buon Natale da tutti noi!

 

*La poesia di Haidar al-Ghazali è tratta dal libro "Il loro grido è la mia voce - Poesie da Gaza" - Fazi editore 2025

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